Accade sempre più spesso di sentire i giovani ripetere la frase: «La vita non ha più un senso, forse è meglio morire…». Ragazzi e ragazze, adolescenti che:

  • Non coltivano i propri interessi;
  • Non vogliono più andare a scuola;
  • Non credono che il loro futuro possa essere ricco di esperienze che meritano di essere vissute.

Molte volte sento le mamme e papà preoccupati per i loro figli, coetanei allarmati per la sorte di qualche loro compagno, giovani che non riescono a superare la sofferenza e il senso di vuoto.

Ma qual è la risposta a questo buio? 
Le soluzioni a una domanda tanto complessa sono davvero molte: ogni giovane ha una propria storia ed è dentro quel vissuto che spesso si nasconde la chiave per fare un po’ di luce sui problemi personali; tuttavia in questo articolo mi sono permesso di condividere un’ulteriore valida risposta che può modificare davvero tanto il senso che i ragazzi danno alla loro vita!

Un’importante premessa, lunga quasi un secolo…

Come rispondere al pensiero di morte di alcuni ragazzi?

Qualche tempo fa ero seduto ad un tavolino con un anziano signore e due cari amici. L’uomo aveva superato da molto la soglia degli ottant’anni e stava varcando quella dei novanta; tuttavia era in gamba – dalla mente lucida e il ragionamento fino ed acuto.

Il particolare che più lo caratterizzava era un’immensa conoscenza dell’umano e una profonda accoglienza della vita: i suoi occhi rifrangevano il sole come farebbero le acque di una lanca o le sponde ciottolate di un torrente. Mentre chiacchieravamo mi raccontava del suo matrimonio:

«Lo ricordo bene. Io avevo di proprietà gli abiti che indossavo, un pezzo di terra e un vecchio cavallo. Lei una casa di sassi, poco più grande di un pollaio: ci abitavano in cinque. Ci sposammo ad Agosto nella piccola chiesetta del paese. Dopo la cerimonia, salutammo i parenti e festeggiammo, noi due soli, con un pomodoro e un paio di uova al tegamino. Finito il pranzo ci baciammo: lei prese il secchio per dar da bere all’orto, io cominciai a zapparlo».

Leggere questo racconto non gli dona il giusto spirito con il quale fu pronunciato.
Dalle righe potrebbe sembrare che l’uomo lo raccontasse con ironia o sarcasmo, magari qualcuno potrebbe averlo letto in modo nostalgico, con un pizzico di malinconia o un velo di rimpianto. Non è così. Mentre lo raccontava, l’uomo sorrideva di un sorriso pieno e felice. C’era un senso di totalità, completezza, in quel racconto e a noi che lo ascoltavamo regalava una forte gioia di vivere e uno strano desiderio a metà tra il senso di colpa e la voglia di rimboccarci le maniche!

I tempi cambiano e (purtroppo) anche il modo di raccontarsi

L’anziano signore raccontava come, pregando, supportandosi e con tanto olio di gomito, lui e sua moglie avessero poco a poco:

  • Raddoppiato il campo su cui coltivare;
  • Fabbricato un pollaio e una porcilaia;
  • Costruito – mattone dopo mattone -una casa di proprietà.

Insomma, una storia per tanti motivi quasi surreale se confrontata alle mote di oggi.

Ciò che forse richiamava più di tutte la nostra attenzione era quella sua assoluta quiete nel raccontarsi: il suo senso compiuto delle cose. Uno dei miei amici, allora, preso da un leggero fastidio disse: «Beh, ma erano altri tempi …» come per giustificare il fatto che oggi la terra promessa è molto più lontana di allora.

L’uomo anziano rispose sicuro:

«Hai ragione! Prima c’era la guerra, per chiunque, e con la guerra non si scherza!»

Anche questa risposta venne data in totale armonia; nel suo parlare non c’era nessun tono di sfida o ripicca. L’anziano non voleva canzonare il mio amico, né deriderlo: aveva semplicemente spiegato un’altra epoca, un altro tempo, con le sue fatiche, i suoi ostacoli, i limiti e le speranze vive che reggevano quel suo mondo! Un altro modo di raccontarsi, molto più solido e sicuro dei tanti modi che abbiamo oggi di parlare di noi stessi…

Ora basta dire ai ragazzi che non c’è futuro!

Mi perdonerà il lettore, ma sono proprio arrabbiato!

Spesso, quando ascolto un ragazzo che mi racconta di voler morire, io mi immagino questo giovane bombardato dal pessimismo di una società che gli racconta che no, non c’è futuro. Non c’è lavoro, non c’è casa, non c’è relazione, non c’è amore… non c’è nessuna possibilità appetibile, nessun traguardo da raggiungere o meta a cui aspirare. Cosa possono pensare allora i ragazzi se raccontiamo loro che l’impegno non basta, che la fatica non viene premiata, che tutto va ai raccomandati.

Questo scetticismo comune mi fa davvero arrabbiare!

  • Come può un ragazzo coltivare il proprio orto, se sono gli adulti i primi a calpestarglielo?
  • Come possiamo pensare che i giovani tendano al futuro, se per primi non riponiamo in loro fiducia?
  • Ed ancora, dove pensiamo possano trovare spunto gli adolescenti, se non dall’esempio e dall’impegno dei più grandi?

Ora basta dire ai ragazzi che non c’è futuro!

Condivideva con noi quella storia sempre pacatamente, come una vita da favola che non poteva che continuare a quel modo. Parlava di lui che sistemava i muri e di lei che preparava il cemento: ci raccontava dei sogni e dei progetti che avevano, della gioia del primo figlio e della successiva felicità di una bimba. La storia di quell’anziano deve farci riflettere sulla forza dell’esempio, sulla costanza nel credere in sé stessi e in un futuro migliore, del grandissimo significato che può avere anche solo un tegamino di uova fritte.

I problemi ci sono nella vita: è inevitabile!

Le difficoltà esistono, i dubbi, gli ostacoli e le incertezze fanno parte del lungo percorso della vita. Il dolore è umano: tante volte è davvero difficile da sopportare, ma quando si riesce a trasformare una ferita in una cicatrice tutto diventa più saldo e ciò che impariamo serve a orientare le nostre prossime scelte. La vita è scegliere, è divenire, è continuare ad essere sempre gli stessi e tuttavia sempre diversi. Questo dobbiamo raccontare ai giovani perchè questo è stato raccontato a noi.

Cerchiamo allora assieme di scardinare una società, di cui anche noi siamo responsabili, che ci dice che non è mai abbastanza, che dobbiamo puntare al meglio e se non ci si arriva allora non vale la pena vivere. Coltiviamo i nostri orti, curiamo i nostri campi, lavoriamo assieme, mattone dopo mattone per costruire un mondo più autentico.

Anziani, adulti e giovani, assieme per dare voce al futuro

Dopo esserci salutati, quella mattina l’anziano signore tornò a casa – ad una delle sue quattro case, quella che aveva tenuto per sé e la moglie; due case le aveva lasciate ai rispettivi figli, una – invece – al giovane nipote, che da poco ha finito gli studi: si è laureato pagandosi i libri lavorando la terra – proprio come aveva cominciato suo nonno.

Nel mondo, il suicidio è la seconda causa di morte tra i ragazzi. In particolare, in Italia si contano circa 200 decessi all’anno di ragazzi sotto i 24 anni di età. Questa tendenza è fortunatamente in calo, tuttavia l’Istat rivela in crescita il fenomeno dell’autolesionismo.

Una potente risposta a questo disagio sta allora nell’energico esempio degli adulti. Mettiamoci in discussione, tutti, a partire dai nostri limiti fino ad accogliere ogni nuovo giorno come un prezioso scrigno di possibilità. Mettiamoci in ascolto. Se abbiamo difficoltà, chiediamo aiuto: affidiamoci ai professionisti, non evitiamo la figura dello psicologo e passiamo ai ragazzi il messaggio che rimuginare in silenzio non è la soluzione a risolvere i problemi.

Aiutiamo i giovani a non sentirsi sfiduciati o in preda agli eventi, rispondiamo in prima linea e con determinazione alle avversità ed esercitiamoci ogni giorno a cogliere nella vita la meravigliosa e affascinante poesia che l’accompagna attraverso gli affascinanti spartiti musicali dell’esperienza.

A presto,
Giuseppe Marino