Ammettere i propri errori non è sempre facile. A chi non è mai capitato di giustificarsi? Tutti noi dobbiamo argomentare una scelta, spiegare una decisione, legittimare un nostro progetto. Ogni giorno siamo chiamati a motivare le nostre azioni.

«Come mai hai preso quel paio di scarpe?»
«Quelle che avevo si erano rotte e la suola era praticamente inesistente»

«Prof, volevo capire perchè ho preso 28 e non 30!»
«Le do 28, perchè la sua preparazione era davvero completa; deve però migliorare l’esposizione.»

«Chi voti alle prossime elezioni?»
«Credo sceglierò il partito XY …»
«XY? Come mai?»
«Ho letto il programma, mi trovo d’accordo con molti punti sulle politiche sociali…»

Risultati immagini per caution pngEsistono però alcune giustificazioni nocive. Spesso le utilizzano i bulli, le persone aggressive o coloro che non riescono a sostenere il discorso. Sono quelle giustificazioni che non danno informazioni: che servono per non ammettere un proprio errore! Non producono crescita e confronto, bensì danno luogo ad uno stallo. Si tratta di risposte irragionevoli, creano nebbia e confusione. Perchè? Beh, se la conversazione si fa meno oggettiva tutto diventa più semplice… anche quando si ha torto.

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Esistono almeno 8 di queste strategie, Bandura li ha classificate sotto il nome di “meccanismi di disimpegno morale”. Te li racconto!

Bandura e i meccanismi di disimpegno morale

Chi è Bandura? Albert Bandura (classe 1925) è uno psicologo canadese, celebre per il suo lavoro sulla teoria dell’apprendimento sociale. Tra gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 ha analizzato i principali meccanismi di disimpegno morale.  Questi meccanismi tendono a sviare il fulcro del discorso, per rendere il dialogo sostenibile anche quando si ha torto o mancano gli argomenti. Qualsiasi individuo voglia uscire da una discussione scomoda, probabilmente si appoggerà ad uno tra gli 8 meccanismi di Bandura.

Risultati immagini per justice pngUn esempio per capire al meglio!

Immagina di essere un giudice, convocato in tribunale per sentenziare su un reato. Il malvivente che devi giudicare ha commesso un brutto crimine: per poco non accoppava un tizio al bar. Inizia l’interrogatorio e gli domandi le motivazioni che lo hanno portato a compiere quel misfatto. Secondo te come ti risponderà? Pensaci un attimo senza leggere il seguito.

Fatto? Ebbene, è molto probabile che per difendersi utilizzerà una delle frasi che trovi qui sotto elencate (oppure molto molto simile). Il delinquente potrebbe rispondere con:

  1. L’ho fatto per un buona causa!
  2. Non l’ho davvero picchiato, forse un pugnetto!
  3. Cosa potrà mai essere una rissa al bar, c’è chi si ammazza in guerra!
  4. La colpa non è mia! Sono stati gli altri a dirmi di farlo!
  5. Non l’ho picchiato da solo, eravamo un bel po’ a riempirlo di botte!
  6. Tutto ciò è falso! Non sono stato io!!
  7. Quello non era un uomo: era un porco!!
  8. L’ha voluto lui quel pugno, è venuto a prenderselo!

8 Strategie che le persone utilizzano per giustificarsi quando non vogliono ammettere i propri errori!

Hai trovato qualche somiglianza tra la giustificazione al reato che avevi pensato e quelle elencate? Se sì è perchè Bandura ha analizzato accuratamente quali siano i meccanismi che regolamenterebbero le condotte trasgressive e come la persona si giustifica quando ha torto, oppure non sa bene cosa rispondere alle domande.

Quindi, i principali meccanismi di disimpegno morale sono:

  1. Risultati immagini per false pngLa giustificazione morale (“Me lo ha detto Dio”, “lo faccio per una buona causa”, “La patria me lo domanda!”);
  2. L’etichettamento eufemistico (“Gli ho solo dato una carezza”);
  3. Il confronto vantaggioso (“Cosa sarà mai un pugno, confronto a una fucilata!”);
  4. Il dislocamento delle responsabilità (“Sono stati gli altri ad istigarmi…”);
  5. La diffusione delle responsabilità (“Non ero da solo, è colpa di tutti!”);
  6. La non considerazione o distorsione delle conseguenze (“Non è successo nulla”, “Non è andata così!”);
  7. La deumanizzazione della vittima (“Ma quello è una bestia!);
  8. L’attribuzione della colpa (“Se l’è cercata!”).

A presto,
Giuseppe Marino