Quanti rimpianti? Quanti rimorsi? Quante volte ci capita di sentirci in colpa per qualche azione agita o evitata?
E se poi il colpevole è l’altro: riusciamo ad essere comprensivi o li riversiamo addosso tutta la nostra rabbia e il nostro risentimento?

La recriminazione, ovvero l’attribuzione delle cause a un colpevole, è un meccanismo che fa parte della natura umana. Ma in cosa consiste? Come funziona? Scopriamolo assieme per comprenderne la struttura e riuscire a gestirne gli influssi.

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La recriminazione: la rabbia che sfoga il disagio!

La recriminazione è una valvola di sfogo del disagio: apre le porte all’ira e all’aggressività! Può quasi essere considerato uno “meccanismo di difesa anomalo”: in qualche modo evita che le nostre riflessioni ricadano su quei sentimenti a cui siamo più vulnerabili. Un esempio? Il senso di vergogna che ci potrebbe assalire quando ci sentiamo in qualche modo partecipi dell’accaduto o concausa dell’evento.

Cosa fare se cadiamo in preda alla recriminazione?

Come suggerisce la dottoressa Brené Brown, nel momento in cui ci rendiamo conto di essere vittima di queste attribuzioni forzate di colpa dobbiamo innanzitutto ritagliarci uno spazio e allontanare quelle persone sulle quali solitamente esercitiamo un qualche potere. È difatti plausibile pensare che sfogheremmo facilmente la nostra rabbia su di loro.

Non importa quanto queste persone siano effettivamente responsabili dell’accaduto che vi ha messo in scacco, il solo gridargli contro potrebbe farvi sentire meglio. Perchè? Ebbene, trovare un qualsiasi significato ad una storia che ci lascia dei dubbi, difatti, risulta neurologicamente piacevole al nostro cervello (Per approfondire, ecco un articolo su come nascono le teorie del complotto). Non è necessario che vi sia un nesso causale certo o provato: basta, insomma, che la narrazione riesca a stare in piedi quel che basta per non sentirci coinvolti emotivamente con l’avvenimento! Dare la colpa a qualcun altro aiuta notevolmente questo processo!

E quando la recriminazione è verso noi stessi? Come agire?

Ad alcuni capita di non cercare la causa negli altri, ma d’incolparsi di persona e a tal punto da sentirsi completamente incapaci, inadeguati e sbagliati. Capita che, per il bisogno di controllare tutto, non si accetti che qualcosa possa andare storto o possa fuggire naturalmente al nostro controllo.

Entra in gioco allora quella trappola che lega senso di colpa e vergogna, li mischia e li confonde. La differenza tra questi due titani, difatti, dipende molto da come ci rivolgiamo a noi stessi:

  • La vergogna implica una ripercussione identitaria: non si sbaglia il gesto o l’azione, ma si è sbagliati e quindi inadatti ad un confronto paritario con l’Altro;
  • La colpa, invece, si segmenta sui fatti: è l’azione ad essere sbagliata. Talvolta si può commettere qualche errore!

Molti hanno così tanto bisogno di aver tutto sotto controllo che puntano il dito verso loro stessi, piuttosto che accettare che alcune cose capitano e non sempre abbiamo un potere diretto sulle variabili che determinano il cambiamento.

Recriminazione e riconoscimento: la differenza che fa la differenza!

Recriminare, lo abbiamo inteso, non è la soluzione ad alleviare la sofferenza. C’è tuttavia una strada migliore: il riconoscimento (o meno) delle responsabilità. La differenza tra recriminazione e riconoscimento di responsabilità è per certi versi lo specchio del senso di colpa e della vergogna; Così come il senso di colpa è legato ad un’azione e la vergogna è un abito doloroso, così il riconoscimento della responsabilità è un colpo d’occhio che analizza ciò che è accaduto. La recriminazione è un dito puntato, un cartellone pubblicitario con scritto sopra “Non sei adeguato/a”.

Ovviamente sentirsi in colpa per qualcosa che non si può controllare non serve a nulla, se non a farci provare un grande senso di frustrazione che può sfociare nella rabbia!

La strada del riconoscimento!

Il riconoscimento della responsabilità è doloroso? Certamente! Sentirsi in colpa per qualcosa o verso qualcuno fa male: tuttavia questo punto di vista può aiutarci a prendere in mano la situazione e impegnarsi per migliorare. Facile? No, tutto ciò richiede coraggio, forza e determinazione. Spesso questo percorso identitario è complesso e fa paura: ci vuole una meravigliosa forza di volontà nel mettersi in gioco! La strada è spesso in salita e tuttavia non mancano le figure che possono supportare questo cammino. Lo psicoterapeuta, lo psicologo e le altre figure professionali della salute mentale possono accompagnare lungo questa scelta per ritrovare la serenità di una vita autentica.

A presto,
Giuseppe M.